domenica 14 settembre 2014

Superstizione PATRIZIA MIRIGLIANI

Quando mi capita qualcosa di brutto, non metto più il vestito che indossavo in quel momento


Il patron di MISS ITALIA Patrizia Mirigliani
"Ho la fobia dei vestiti. Così per scaramanzia ogni volta che mi capita qualcosa di negativo lo associo subito all’abito che indosso in quel momento, che poi finisce dritto nei meandri più nascosti dell’armadio (racconta Patrizia Mirigliani) Laggiù, in fondo in fondo, nel dimenticatoio. E non lo rimetto mai più!
Per tanti anni non ho mai portato niente di rosso, nonostante tutti mi dicessero che mi stava benissimo. Detestavo un colore così bello e unanimemente riconosciuto come benaugurante, il tipico colore della festa, del Natale... Tutto solo perché da ragazza ho avuto un problema al seno e il giorno che l’ho scoperto indossavo una maglia rossa.
Negli ultimi anni però nella mia vita c’è stata una sorta di rivoluzione e mi sono letteralmente imposta di vestirmi di quella tinta, perché volevo rompere questa mia superstizione. Non volevo più esserne schiava. Così, tutte le ultime edizioni di Miss Italia ho esordito sul palco con degli splendidi abiti rossi. Inoltre, nella mia famiglia siamo tutti superstiziosissimi sull’olio. Guai a romperne una bottiglia! Tutto è nato il giorno che me n’è caduta una e poco tempo dopo, purtroppo, è mancato mio zio.
Mio padre, lui sì che era molto superstizioso. Il suo portafortuna è sempre stata la tartaruga, e chi lo sapeva e voleva fargli un presente gradito gliene regalava una. Oggi ne abbiamo l’ufficio pieno. Nel mondo dello spettacolo faceva molta attenzione a circondarsi di persone che gli davano energia e che non gliela toglievano. È brutto dirlo, ma credo che nella vita certi individui, con gentilezza e discrezione, vadano un po’ allontanati. Non credo che ci sia chi porti bene e chi male: diciamo semplicemente che in alcune relazioni interpersonali le energie si sposano bene e in altre invece no. È una questione molto soggettiva.".  


L'intervista a Patrizia Mirigliani è di Gian Maria Aliberti Gerbotto

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