lunedì 1 febbraio 2016

Scaramanzia vip GIULIO SCARPATI

Mai in scena senza un chiodo storto in tasca


Giulio Scarpati e Gian Maria Aliberti Gerbotto
Diciamo che sono scaramantico più per educazione che per indole. Innanzi tutto provengo da una famiglia napoletana, dove esserlo è d’obbligo. A casa, guai a lasciare il cappello sul letto o ad aprire l’ombrello prima d’essere sull’uscio. (racconta Giulio Scarpati) Poi, appena sedicenne, quando m’iscrissi alla scuola di teatro di Enza De Giorgi, venni subito rigidamente iniziato anche a tutte quelle scaramanzie caratteristiche di questo mondo di teatranti. Ricordo ancora la vecchia insegnante quella volta che rispedì subito un alunno a casa a cambiarsi perché indossava una camicia vagamente violacea. A me invece per prima cosa vietò di fischiare in teatro perché, diceva, i fischi portano altri fischi. Oggi, per una sorta di riflesso condizionato, le ripeto tutte, le scaramanzie “familiari” e quelle per così dire “professionali”. Ma l’unica cui tengo veramente è quella del chiodo... Quando sul palcoscenico ne trovo uno piantato storto me lo prendo. Ne ho la valigia piena e non vado mai in scena senza prenderne prima uno e ficcarmelo in tasca. Tra noi attori è anche usanza regalarci strani amuleti, così il mio camerino diventa una specie di trovarobe con corni vari, coccinelle, elefantini con la proboscide in su. Persino un pulcino di peluche e una vecchia e inquietante scarpetta nera che mi regalarono e mi porto appresso da quando all’inizio della carriera portai in scena uno spettacolo che si chiamava Orfani.”.

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L'intervista a Giulio Scarpati è di Gian Maria Aliberti Gerbotto

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